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Dal mondo del ballo al dualismo tra essere spirituale ed avere materiale

Dal mondo del ballo al dualismo tra essere spirituale ed avere materiale

Distacchiamoci brevemente dal mondo del ballo e parliamo di dualismo tra essere spirituale ed avere materiale.

Oggi cercheremo di distaccarci dal mondo del ballo salsero e latino americano, per entrare più nello specifico in quello spirituale, messo in relazione a quello materiale: un dualismo che nell’arte della danza, dello sport ed anche della recitazione (in realtà un po’ ovunque) è perennemente presente e che porta l’essere umano a trasformarsi sia esteriormente che interiormente, nel corso della sua esistenza terrena.

L’uomo d’oggi si difende per preservare la propria vita, ma adottando questo atteggiamento mentale, di certo, non può preservarsi anche dal suo effetto collaterale: la dualizzazione.

Se c’è qualcuno che si difende, si presuppone che c’è anche un nemico, quindi non sbagliamo se affermiamo che vi è dualità, o una conflittualità : una dualità psicologica.

Questo meccanismo di dualizzazione, l’uomo l’ha traslato in altri campi della sua esistenza, dando vita all’eterno dualismo: materia-spirito; quindi ricchezze materiali da una parte (soldi) e ricchezze spirituali dall’altra (saggezza).

Per molti anni o addirittura secoli, c’è stata questa “mortificazione delle ricchezze materiali” da parte degli spiritualisti, prendendo come modello San Francesco o Gesù, ma tutto ciò non ha fatto altro che incrementare il materialismo sia fuori che all’interno delle chiese di tutto il mondo.

Basta pensare che un vestito di un cardinale costa dai 1.000 ai 1.500 euro, mentre un bambino africano non solo non ha un vestito da indossare, ma non ha nemmeno un tozzo di pane da mangiare.

Lo spirito ha bisogno della materia per generare e per far crescere la vita.

Bisogna orientarsi verso una spiritualizzazione della materia, e non verso un’alienazione della materia.

Possiamo affermare, usando una metafora cristiana, che lo spirito, nostro Padre, ha bisogno della materia, di nostra Madre, per generare e per far crescere i propri figli.

I tempi sono cambiati, e la mente dell’uomo è cambiata, quindi continuare a parlare della povertà di San Francesco o di Gesù non serve a sensibilizzare l’uomo, che è ormai alienato dalla materia, ancora più, se si continua a parlare delle sofferenze patite da questi due illuminati, perché l’uomo di oggi ha paura di soffrire, e per associazione ha paura anche della povertà. 

Anche se queste paure, sono delle paure illusorie, pretesti che mascherano le reali paure, che successivamente descriverò.

Bisogna imparare a sensibilizzare l’uomo attraverso se stesso e non attraverso gli altri, perché l’uomo di oggi si è allontanato dalla sua essenza, identificandosi sempre più in ciò che non è, alienandosi così dalla sua sofferenza reale, o meglio, dal suo bisogno reale.

Quelli che noi normalmente chiamiamo “bisogni” sono falsi bisogni, o bisogni indotti.

Avere una bella macchina, o una bella casa, non sono dei bisogni: il reale bisogno dell’uomo di oggi è “stare bene” al di là delle condizioni esterne.

Affermare che un individuo che ha una bella casa o una bella macchina, o che ha qualche milione di euro in banca vive nel benessere è sbagliato; possiamo dire che vive nel bene-avere, ma non nel benessere.

Molto spesso, le parole che usiamo sono ingannevoli, e ci sono state insegnate con un preciso intento: di ingannarci!

Benessere, in altre parole vuol dire: stare bene con il proprio essere.

Anche la parola “benestare” vuol dire stare bene, anche se viene usata erroneamente; basta dare un’occhiata ad un comunissimo vocabolario per verificare ciò che sto affermando.

Io non posso verificare quanto San Francesco, o Gesù fossero poveri, o quanto abbiano sofferto, ma posso sicuramente affermare che vivevano una stato di benessere molto più intenso del nostro, e non avevano bisogno di difenderlo, perché vi erano entrati con tutto il loro essere.

Invece di continuare a parlare della loro povertà e della loro sofferenza, perché non ci soffermiamo mai sul loro stato di benessere, e di come l’hanno raggiunto?

Forse partendo da quest’altro punto di vista possiamo anche capire meglio cos’è veramente la povertà e la sofferenza, non ci credete?

Bene, ve lo dimostrerò!

Immaginate almeno per un momento all’umanità come fosse una cosa sola, immaginate, usando parole della Blavatsky, noi tutti come membra di un unico corpo. 

Quindi, chi cerca di danneggiare o distruggere gli altri, è come se la mano destra cercasse di tagliare quella sinistra per gelosia, e chi uccide il prossimo suo, uccide se stesso; chi deruba il prossimo, froda se stesso; chi ferisce il prossimo, mutila se stesso, perché gli altri esistono in noi come noi esistiamo negli altri.

Non andando tanto lontano da ciò che vi ho appena scritto, e riflettendo sulla frase “gli altri esistono in noi, come noi esistiamo negli altri”, intuitivamente possiamo comprendere che la povertà che vediamo nei paesi del terzo mondo, non è altro che la materializzazione o il riflesso della nostra povertà interna, della povertà occidentale.

Un riflesso dell’incapacità di gestire la nostra fame d’amore, divorando come compensazione il mondo circostante, il mondo dell’avere, della “roba”, allontanandoci sempre di più dal nostro benessere.

Da questa nostra incapacità è nato, secondo il mio parere, il consumismo, cioè quell’attitudine disumana, quasi cannibalesca, di consumare il mondo (compresa la madre natura) ed infine noi stessi. 

Realtà che possiamo verificare, nella sua espressione più estrema, negli individui con dei disturbi alimentari come l’anoressia o la bulimia.

Ho compreso, che non ci fa tanta paura la sofferenza, o la povertà; la cosa che più ci terrorizza e ci fa soffrire è la nostra incapacità di amare e di ricevere amore. Siamo tanto insensibili alla sofferenza altrui, perché in realtà ci difendiamo dalla nostra, ed usiamo come strategia compensativa il consumismo, il pensiero o l’atteggiamento consumistico.

La cosa che più ci fa paura e soffrire non è tanto “il cosa posso fare”, ma “il cosa posso dare”, perché dentro ci sentiamo vuoti: il nostro stomaco interiore è vuoto di amore. 

Per deduzione pensiamo, o meglio sentiamo: “se il mio stomaco interiore è vuoto, figuriamoci cosa posso offrire a chi mi è vicino.”, e come effetto di questo nostro convincimento incominciamo a dare ciò che abbiamo (compreso il nostro corpo), imparando a consumare qualsiasi cosa che è dentro il Grande Frigorifero del Mondo dell’Avere.

E’ un meraviglioso frigo, enorme, ultra-tecnologico, c’è di tutto: venite gente, venite!!!

In tutti noi, cari amici, c’è un disturbo, un malessere, che sia una latente bulimia, o altro non importa, è pur sempre un disturbo e fin quando non lo ammettiamo a noi stessi, (anche se è doloroso ammetterlo, ma è doveroso ed inevitabile), non potremo mai aprirci alla vita e vivere nel reale benessere.

In realtà, non esiste una ingiustizia divina, ma tutto è regolato dalla legge dell’equilibrio, mentre un bambino africano soffre la fame e la povertà, noi soffriamo in una modalità più subdola: per la nostra fame di amore e di appagamento, e per la nostra impotenza e povertà interiore.

Voi mi potete dire che un bambino africano vive due, cinque, massimo dieci anni, ma domandatevi: “quanti di noi arrivano a 90 anni vivendo realmente la vita? quanti di noi a 20 anni sono già moribondi dentro? eterni insoddisfatti, alienati ed insensibili anche alla loro stessa sofferenza?”

Vogliamo quantificare la sofferenza, come è solito fare nel mondo occidentale?

Bene, facciamolo!

Un bambino africano in media soffre dai 2 ai 10 anni dopo di che muore; noi invece possiamo vivere anche 80 anni, ma quanti anni abbiamo sofferto la fame d’amore?

Ricordatevi, che un bambino africano o indiano non hanno la nostra stessa percezione del mondo, per loro , ad esempio, non esiste il sogno.

Se voi domandate ad un bambino africano qual’ è il suo sogno, lui vi risponderà con un’altra domanda: “cosa è il sogno?”.

Quindi, è inutile continuare a fare paragoni, e congetture su una realtà che non conosciamo, ma cerchiamo invece di guardarci in profondità, perchè solo così possiamo comprendere ed accogliere veramente la realtà altrui, senza ipocrisie.

Vi posso assicurare che la nostra realtà interiore è terrificante quanto quella dei bambini africani; dietro a questo terrore si nasconde il vero benessere, e le nostre risorse interiori, ma bisogna avere il coraggio di attraversarlo.

Se c’è un terzo mondo fuori di noi, vuol dire che c’è un terzo mondo anche dentro di noi: un miliardo di emozioni povere, indifese, vulnerabili che hanno fame d’amore.

Ci sono miliardi di persone al mondo che soffrono la fame, ma c’è ne sono altrettante che soffrono una fame più sottile: la fame d’amore.

La fame dei popoli del terzo mondo consuma i loro corpi, ma la nostra fame consuma la nostra mente e il nostro cuore; ecco perché siamo un popolo di depressi, insoddisfatti; la nostra mente è consumata dalla fame d’amore.

Pensateci: forse è arrivato il momento di svegliarci da questo torpore.

“La Bibbia dice che un profondo sonno cadde su Adamo e da nessuna parte si fa riferimento al suo risveglio. Il mondo non ha fatto ancora esperienza di alcun risveglio completo o rinascita. Tale rinascita sarà impossibile fintanto che continueremo a proiettare o a mal creare. Se una luce viene accesa di colpo, mentre qualcuno sta avendo un incubo, questi può inizialmente interpretare la luce stessa come una parte del suo sogno ed averne paura. Tuttavia quando si sveglia, la luce viene correttamente percepita come liberazione dal sogno, al quale non viene attribuita realtà. Questa liberazione non dipende da illusioni. La conoscenza che ci illumina non solo ci rende liberi, ma ci mostra chiaramente che siamo liberi.”

(A course in miracles)

Spesso confondiamo una costruzione con una creazione: la prima è una illusione, la seconda è reale.

La nostra mente costruisce quando ha fame, e crea quando è piena e traboccante d’amore.

Chi costruisce usa delle risorse esterne (l’avere) perché pensa di non possedere niente nel suo essere, mentre chi crea usa delle risorse interne.

Immaginate un individuo che è riuscito a soddisfare la sua fame d’amore: non ha la necessità di consumare, e quindi di sprecare, è colmo del suo amore, e gli risulterà facile donare qualcosa non solo a chi gli è vicino, ma anche a chi gli è lontano, perché il suo amore è traboccante.

Immaginate un miliardo di esseri di un amore traboccante: non ci sarebbe più povertà né materiale, né interiore.

Un’utopia?

Allora continuiamo a dormire, e a fare incubi, questo è il prezzo da pagare!

Un prezzo che non si paga con il denaro, ma con la vita stessa!

Lo so, tutto ciò è inquietante, ma ci tiene svegli, forse per la prima volta sono riuscito a guardarmi dentro veramente, e ho riconosciuto ciò che di povero ed “affamato” è in me.

Tollerare il vuoto che sento mi rende più forte, invece di impegnarmi a colmarlo mangiando e abbuffandosi di pezzi di mondo: mangiando e consumando anche tutto ciò che non è mio, chiamando infine questo atto cannibalesco potere.

Lo spirito, forse, non ha bisogni di soldi, ma i soldi hanno bisogno del supporto dello spirito e della amorevole coscienza insita nell’uomo, per riuscire nell’intento finale di spiritualizzare la materia.