Problemi della produzione discografica latina negli anni 90’ tra U.s.a. e Cuba
Sono di varia natura i problemi che affliggono la discografia caraibica e la sua promozione, produzione e diffusione in territorio statunitense, specialmente quella cubana, che possiede un buon afflusso di opere finite verso i confini americani ma che non possiede purtroppo una buona struttura promozionale, essendo così penalizzata da insufficienti o per nulla esistenti pubblicità e distribuzione.
In questo periodo la maggior parte delle radio che trasmettono musica latino americana, vengono gestite da cubanoamericani, i quali inspiegabilmente però, difficilmente tentano di trasmettere produzioni musicali della loro patria o evitano di parlare in radio di possibili eventi o promozioni di concerti live cubani.
Tutto questo probabilmente dipende meramente da un problema logistico/commerciale, per il quale a causa dei vari problemi di giurisdizione e di commercio legati all’embargo, fanno di Cuba un’isola dal punto di vista artistico e musicale completamente blindata.
Le poche vendite dei dischi di musica cubana, avvengono esclusivamente grazie ad alcuni piccoli negozi di nicchia specializzati, che acquistano dalle etichette cubane, piccole quantità di stock a magazzino.
Le vendite di queste ultime si aggirano infatti su qualche migliaio di copie.
Inoltre a colpire in aggiunta un mercato così poco florido, si somma la tortura della pirateria musicale e video delle produzioni cubane su territorio statunitense, in completa libertà dei malfattori, dato che le etichette cubane non hanno nemmeno il potere o la forza economica di contrastare questo crimine soprattutto in un territorio completamente al di fuori della loro giurisdizione come quello americano.
Idem per gli artisti che lavorano all’estero, i quali in un primo momento hanno potuto e dovuto investire il proprio lavoro esclusivamente su territori come America Latina, Giappone ed Europa, mentre poi, grazie all’emendamento “Berman” (stipulato durante la seconda metà degli anni novanta), sono riusciti ad avvicinarsi anche al mercato degli Stati Uniti (ovviamente con non pochi problemi).
Anche se parliamo di numeri pressoché inconsistenti, è comunque corretto sapere che i lavoratori cubani nell’ambito della musica nel periodo tra il 1995 e il 1999 sono aumentati del 1300 %.
Con questo non significa affatto che il musicista non veniva comunque afflitto da ulteriori problemi, continuando il proprio lavoro che però era ancora soggetto ad una importante serie di limitazioni giuridiche.
Probabilmente la scelta statunitense era dettata solo per un aspetto di vicinanza alla propria terra di provenienza, rispetto ad un fattore di migliore tipologia di impiego nello showbusiness.
Occorre una deroga speciale solo per l’accesso e il visto, il quale essendo solo concepito per impieghi non commerciali, crea una paradossale situazione per la quale i musicisti non possono ottenere compensi ma solo rimborsi.
Stessa cosa per i concerti composti da questa categoria di artisti, questi concerti vengono eseguiti per le varie problematiche commerciali, solo presso università o festival, senza però essere mai sponsorizzati o pubblicizzati in maniera esaustiva.
Gli impresari stessi che vogliono fare soldi, stanno alla larga da eventi composti da queste categorie precarie, sia per la questione organizzativa, sia per i possibili ricavi.
A questo punto chi riesce ad organizzare questi live, o sono gli stessi artisti che ci lavorano, oppure sono piccoli impresari che producono l’evento solamente per una questione affettiva o passionale.